martedì, giugno 12, 2007

III cap. - L'acqua

Dovevo essermi addormentata sul parquet, davanti alla porta. Un lieve chiarore filtrava dall’incrocio delle pesanti tende. Mi alzo dolorante e percorro quasi automaticamente il corridoio entrando in bagno. Apro il rubinetto della vasca, cerco la temperatura giusta. Mentre si riempie non so se guardarmi allo specchio. Cos’è successo? Mi spoglio lentamente, spargo un paio di manciate di sali da bagno nell’acqua. Il profumo acuto arriva alle mie narici e mi da un senso di nausea. Sento che ho bisogno di ritemprarmi. Mi infilo nella vasca e senza fare attenzione ai capelli mi lascio andare al calore dell’acqua che subitaneamente richiama ai miei occhi lacrime ed un dolore acuto come un’infinita pioggia di spilli. Un nodo alla gola strozza il mio respiro, e scoppio finalmente in un pianto convulso di singhiozzi e gemiti. E’ evidente che mi è successo qualcosa di molto grave che non ho il coraggio di ricordare ed è altrettanto evidente che non posso permettermi di non ricordare e affrontarlo. Cerco di farmi coraggio ripetendomi come un mantra che sono una donna forte e che non c’è niente che non posso affrontare, che c’è sempre una giusto modo di far fronte a ogni cosa. Mi passo le mani bagnate sul viso più e più volte, come a voler cancellare un pianto rivelatore di una debolezza che sentivo di non potermi permettere. Cogliendo un lieve movimento scorgo improvvisamente una coda dritta con la punta lievemente rivolta verso il basso che si avvicina e vengo immediatamente colta da una sensazione di dolcezza. E’ il mio gatto che sentendomi muovere è venuto a cercarmi, appoggia le zampette sul bordo della vasca ed allunga il muso verso di me, istintivamente mi sporgo verso di lui e prima i nostri nasi e poi le nostre fronti si incontrano affettuosamente. E’ il nostro modo di salutarci. Si è accorto che c’è qualcosa che non va, il suo trillo di bentornata si trasforma in un acuto lamento e scoppio di nuovo in un pianto irrefrenabile, non più controllato, moderato dalla razionalità ma liberatorio e fragoroso. E John Carter piange con me.

A pensarci oggi questa scena mi fa quasi sorridere, due scemi, una donna e il suo gatto che piangono all’unisono. Ma sono ancora oggi grata al mio gatto per quel momento di tenerezza che ebbe il potere di rompere finalmente la diga che teneva prigioniera la mia paura, la mia rabbia, la mia impotenza.

2 commenti:

Finazio ha detto...

a volte non c'è niente di meglio che confrontarsi con un animale. O meglio, con un animale di un'altra specie. Un abbraccio.

Anonimo ha detto...

davvero interessante, io ho avuto molti gatti, la cosa più importante che mi hanno insegnato è quella di essere una persona libera, anche a costo di sembrare egoista, è grazie a loro che ho capito che nella vita devo fare solo è unicamente quello che "voglio"