venerdì, giugno 08, 2007

II capitolo - A casa

Frugo nella mente e poi nella memoria. Un ufficio, il mio ufficio. La chiave è nel sottovaso dei gerani sulla finestra del mezzanino. Fermo un taxi e salgo subito. Mi porti in via Vesuvio per favore, numero 13. Riesco a rilassarmi un po’, seduta sul sedile posteriore di quella vecchia Fiat. Dopo qualche minuto guardando distrattamente dal finestrino mi accorgo che l’ambiente si fa sempre più familiare. Siamo arrivati, chiedo al tassista di attendermi per qualche minuto perché devo proseguire il mio tragitto. Non sono poi così certa di sapere dove voglio andare dopo ma mi da sicurezza sapere di avere un’auto a disposizione. Salgo le scale di fretta, mi sporgo dalla ringhiera in cerca del sottovaso, frugo, trovo la chiave, la inserisco e spingo la leggera porta a vetro entrando in un buio corridoio. Mi chiudo la porta alle spalle prendendo un grosso respiro, allungo la mano per accendere la luce. Premo l’interruttore ma la luce non si accende, riprovo incredula e niente. Mi torna in mente che proprio qualche giorno prima si era fulminata quella maledetta lampadina e che non avevo trovato il tempo di cambiarla. Mi muovo a tentoni infilandomi nella prima stanza ed accendendo finalmente la luce. Nell’armadietto trovo un paio di calze, un po’ di cotone, del disinfettante. Mi sfilo velocemente le calze e le butto nel cestino, mi disinfetto il ginocchio, una brutta sgraffiatura, metto il cerotto e indosso le calze nuove. Vado in bagno e mi lavo la faccia. L’acqua fresca a contatto delle labbra mi fa trasalire. Ho sete, bevo avidamente l’acqua del rubinetto dalle mani, mi asciugo la faccia e con lo stesso asciugamano mi strofino le scarpe sporche e lo getto per terra. Trovo una giacca a vento sulla sedia dello studio, frugo nei cassetti in cerca di soldi. Trovo la copia delle chiavi di casa nell’ultimo cassetto e una busta, la apro e trovo all’interno 50 euro. Esco di nuovo, chiudo la porta, scendo le scale e raggiungo il taxi. Il tassista riaccende il motore brontolando, mi scuso di averlo fatto attendere. Gli chiedo di portarmi in Piazza Indipendenza al 20. Pochi minuti e ci siamo, allungo i cinquanta euro al tassista senza guardare il tassametro e senza aspettare il resto scendo dall’auto senza salutare. Salgo frettolosamente le scale e spingo il pesante portone che nel frattempo è stato aperto dall’interno. Sorrido alla portinaia distogliendo subito lo sguardo ma non abbastanza alla svelta per non accorgermi che aveva un’aria stupita. Non voglio ancora farmi domande. Sono tentata dall’infilarmi nell’ascensore ma un’improvvisa sensazione di angoscia mi assale facendomi preferire le scale che inizio a salire di corsa non appena so di esser fuori dalla visuale della portinaia. Entro in casa mia, chiudo il portone e mi lascio cadere per terra.

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